Arecibo, la caduta degli Dei

300 metri di diametro, anzi 305 metri ossia 1000 ft (piedi), impresa di alta tecnologia nonché simbolo dell’Astrofisica d’avanguardia nella seconda metà del XX secolo, celebrato perfino in film d’azione, il radiotelescopio a sud di Arecibo, nell’isola di Puerto Rico è (era) da molti anni uno strumento scenografico noto anche ai meno preparati. Forse perfino ai terrapiattisti. Tanto per rendere l’idea, il disco poteva contenere in fila due Cattedrali di Santa Maria del Fiore. E sarebbero avanzati anche un paio di metri se non sbaglio. Era stato inaugurato nel 1963, cioè negli anni in cui anche l’Osservatorio Astronomico a Firenze stava muovendosi nella Radioastronomia grazie al direttore G. Righini.

Per 55 anni è stata l’antenna radio più grande del mondo, la cui ideazione risaliva addirittura agli anni dello Sputnik, che in effetti fu trigger per una lunga serie di progetti spaziali e sviluppi tecnologici. Arecibo compreso. Non solo poteva ascoltare le onde radio provenienti da tutto l’Universo profondo, ma anche inviare segnali radar con la potenza di 1 Megawatt: in questo caso però poteva avere come bersaglio solo i pianeti del sistema solare, per studiarne la morfologia e la cinematica, perché ci sarebbe voluta ben altra potenza per andare oltre. E come quasi tutta la tecnologia innovativa, aveva alle spalle anche l’interesse militare per captare, riflesse dalla Luna, le trasmissioni spaziali sovietiche. Negli anni ’80, giovani e promettenti ricercatori dell’Osservatorio di Arcetri venivano inviati alla “mitica Arecibo” da Franco Pacini, allora direttore, e lo stesso avveniva da altri Istituti di ricerca internazionali.

Ma questo, purtroppo, deve essere un necrologio.

I cavi d’acciaio di sostegno del sub-riflettore ricevente e trasmittente (ben visibile nella foto, con le sue quasi 900 tonnellate), sollevato a 180 metri sopra l’ombelico del disco, hanno cominciato a cedere, perfino a strapparsi, già da qualche anno, anche per tempeste tropicali.

Poi ci sono stati alcuni fenomeni sismici nell’isola: l’ultimo, il più grave, nel gennaio 2020 ed avevano via via sempre più compromesso la stabilità del sistema sospeso. Un mese fa la spesa per la riparazione era stimata in 10 milioni di dollari. Che poi era appena l’80% del costo annuo di gestione e manutenzione. Ma mezzo secolo è tanto per uno strumento del genere, è un sistema complesso, non così “semplice” come il cannocchiale di Galileo, e più che ripararlo sarebbe stato necessario rinnovarlo. Cosa che non conviene, perché costa meno rifarlo ex-novo. Frase peraltro ben conosciuta da tutti noi, perché ce la sentiamo ripetere continuamente a casa nostra dall’elettricista, idraulico, piastrellatore ecc…

Il curriculum scientifico dell’antenna è stato di alto rilievo. Proprietà degli Stati Uniti, è stata gestita fin quasi alla fine dalla Cornell University (Ithaca, stato di N.Y.), prestigioso istituto che ha prodotto una quarantina di Nobel in varie discipline e che Pacini, che vi aveva lavorato, chiamava Università di Cornella, facendoci sorridere. Il radiotelescopio era stato collocato in un avvallamento naturale a Puerto Rico poiché è un’isola a poco più di 18° di latitudine nord, ossia vicina all’equatore, sul Tropico del Cancro. Così l’antenna, fissa a terra, sfruttava la rotazione terrestre per esplorare il cielo ed inoltre il ricevitore sospeso godeva di un certo movimento trasversale (in azimut) per estendere l’angolo di osservazione. Inaugurata nel Novembre 1963, ha osservato pianeti, asteroidi, nebulose, lampi radio, pulsar. Tra i suoi “Momenti di Gloria” ne vogliamo ricordare qui soltanto due, ma epici. Nel 1974, gli astrofisici americani Russel Hulse e Joseph Taylor, a caccia di pulsar per professione, scoprirono che una pulsar binaria, ossia una coppia di stelle di neutroni in orbita reciproca, stava perdendo energia proprio come previsto dalla Teoria della Relatività Generale nel caso di emissione di OG: Onde Gravitazionali. Dunque prima prova indiretta dell’esistenza effettiva delle OG esattamente 100 anni dopo la loro previsione, e prima che nel 2015 iniziassero ad essere realmente misurate. Seguì un meritato Nobel nel 1993, e fanciullesco entusiasmo al laboratorio OG Virgo di Cascina (PI) dove lavorava anche il sottoscritto.

Poi il messaggio radio (propagandistico ma d’effetto) lanciato nel novembre 1974 verso l’ammasso globulare Messier 13: un codice binario che conteneva molte informazioni sulla razza umana e sulla Terra, in un formato comprensibile anche da un extra-terrestre poco sveglio. Il messaggio arriverà tra 23 mila anni: fu soprattutto un test  per lo strumento. Arecibo servì anche per compiti ‘di servizio’, come rintracciare il satellite solare SOHO, nel 1998, che era sfuggito al controllo. Furono necessari tre mesi  per individuarlo e rimettergli il guinzaglio (radio), ma ci si riuscì.

Tutto finito il 1 dicembre 2020, alle 7:55 ora locale,12:55 ora italiana, con uno spettacolare crollo (https://youtu.be/ssHkMWcGat4). L’interurbana con gli alieni alla periferia della Galassia è già conclusa, e sì che l’ammasso M13 in Hercules conta alcune centinaia di migliaia di stelle e quindi ancor più pianeti. Qualcuno là avrebbe potuto pur trovare il tempo per rispondere.

Ma dal 2016 c’è una nuova possibilità: è il radiotelescopio FAST con ben 500 m di apertura. Potenza tripla rispetto ad Arecibo. È cinese, come ormai vari aspetti scientifici attorno a noi, dal (vaccino per il) virus all’esplorazione della Luna. È costato 160 milioni di euro, e l’unica riflessione sensata che in questi mesi può venire in mente è che l’Astrofisica di punta, così come tutta la ricerca poderosa, insomma la Big Science come viene chiamata, non richiede fondi esagerati. Sul serio. Basta confrontare con quello che i Paesi, compreso il nostro, spendono o promettono in questi tempi di pandemia. Non centinaia di milioni, non miliardi, non decine di miliardi: si parla di centinaia di miliardi di euro. Fattore mille. Essere una Nazione scientificamente proiettata nel futuro non è una questione di fondi, è una questione di scelte. Un FAST-equivalente italiano costerebbe appena 60 centesimi di euro a testa all’anno, per 5 anni certo, che sono il tempo di costruzione per un’impresa del genere. Salvo inevitabili sprechi e tangenti, ovviamente. È bene non dimenticare un attuale, ed illustre, esempio italiano di Grande Impresa Tecnologica, ossia la barriera mobile Mose: rispetto al progetto originale il costo ad oggi è lievitato del 3500%. Sappiamo tutti perché.

Per la cronaca, il telescopio di Galileo, invece, c’è ancora, funziona come in passato ed è gelosamente (minimizzando) custodito dal Museo Galileo di Firenze.

 

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