Fra Firenze e Ravenna: la costruzione del poeta della patria

Il tema di questa relazione suggerisce una comparazione che cela una contrapposizione. La comparazione riguarda il programma e la gestione dei festeggiamenti danteschi per il sesto centenario della nascita fra Firenze e Ravenna. La contrapposizione implicita, ma ben nota, riguarda la querelle sulla riproposizione della richiesta del comune di Firenze a quello ravennate per il recupero dei resti di Dante. E il suo reiterato rifiuto. Ma c’è anche un terzo, imprevisto, passaggio che suona come colpo di scena e che interviene il 27 maggio quando le feste fiorentine sono ormai concluse da più di dieci giorni: la scoperta “casuale” di una cassetta lignea contenente le ossa di Dante. Era noto, infatti, quantomeno dal 1781, che l’urna marmorea custodita nella cappella a latere della chiesa di San Francesco era pressoché vuota.  Ma andiamo per ordine.

La prima questione storiografica da porsi è se le feste che si celebrarono a Firenze nei giorni 14, 15 e 16 maggio 1865 corrispondevano a quelle che diversi attori cittadini avevano iniziato a progettare subito dopo la conquistata unità nazionale? Si e no. La questione della statua di dimensioni monumentali di Dante viene da lontano[1]. L’idea parte da Ravenna ancora sotto dominio pontificio e l’incarico viene dato a uno scultore ravennate, Enrico Pazzi, ancora nel 1856. Poi, il bozzetto preparato dall’artista sarebbe apparso disdicevole al governo pontificio, per la posa corrucciata e contrariata del poeta connessa alla frase celebre che gli viene messa in bocca: “Ahi, serva Italia di dolore ostello”. Infatti, l’invocazione suonava come un appello al riscatto della patria contro tutte le dominazioni[2].

Il progetto torna, quindi, nel cassetto finché a Firenze nel 1861 si costituisce una Società formata da insigni notabili, a partire da Bettino Ricasoli, volta a raccogliere i fondi necessari allo scopo. Nella narrazione che viene fatta da Guido Corsini, segretario della Commissione costituita dal Municipio di Firenze per preparare le feste e direttore del “Giornale del centenario di Dante Alighieri” non si fa cenno all’origine ravennate del progetto. Questo sarebbe tutto fiorentino, risalente al 1856, ma  tenuto debitamente nascosto perché osteggiato dal governo del Granduca[3]. Già questo la dice lunga sulla sedimentazione dell’antico conflitto. Ma gli intenti vanno al di là del puro omaggio simbolico al grande fiorentino nella prospettiva, non lontana, della ricorrenza del sesto centenario della nascita. La storiografia ha di recente sviluppato specifica attenzione al tema celebrativo con particolare riferimento alla costruzione dell’identità nazionale[4]. E molti sono tornati sulle feste dantesche del 1865 che, a quattro anni dalla proclamata unità e quando le questioni di Venezia e di Roma erano ancora aperte, assumevano un particolare significato. Ma nessuno ha colto il contesto particolare della Firenze post unitaria nel quale va calato il progetto Dante. La città ha perso il ruolo di capitale politica di uno stato e va ricercando un primato, morale e culturale. Fra i primi atti del governo provvisorio guidato da Ricasoli, nel dicembre 1859, c’è stata la creazione dell’Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento, voluto da Ricasoli e da Ridolfi su un progetto e sulla base dell’esperienza maturata da Bufalini con le cliniche sperimentali di Santa Maria Nuova. Non a caso, i corsi furono inaugurati in fretta e furia il 29 gennaio 1860, quando eravamo ancora ben lungi dal plebiscito di marzo,  con una prolusione di Michele Amari incentrata sulla vocazione di Firenze ad essere capitale della cultura superiore[5]. Ricostruire il processo che porta alle feste del maggio 1865 e che ha un passaggio fondamentale nel disegno della statua di Dante impone di calare tutto il progetto, che sarà l’acuto d’apertura delle feste dantesche, nel nuovo ruolo nazionale che la Destra fiorentina intende riservare a Firenze non più capitale politica del Granducato.

Aggiungo – e anche questo non va trascurato – che pur nelle ambiguità metodologiche di questo progetto di rilancio culturale di Firenze, che traeva linfa dalla sua consolidata tradizione accademica ma non universitaria[6], il disegno era forte e condiviso. Soprattutto discendeva esplicitamente dall’assunto considerato indiscutibile del primato morale e culturale nazionale. Quindi, se vogliamo recepire la dicotomia proposta da Carlo Dionisotti nella Varia fortuna di Dante[7] a proposito dell’origine giacobina delle celebrazioni dei grandi della patria, fra topografico e cronologico, va precisato che, calandosi in questo disegno, per la costruzione del mito di Dante poeta della patria i due criteri erano del tutto assimilabili. Del resto, come ci ricorda il fiorentino “Giornale del centenario di Dante Alighieri” proprio alla vigilia delle grandi feste fiorentine del 14, 15 e 16 maggio 1865, il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Natoli del governo La Marmora presentò al re nell’aprile 1865 un decreto in base al quale i licei di stato italiani dovevano prendere il nome dei grandi del luogo e festeggiarli tutti in data prefissata, il 17 marzo, che, è inutile ricordarlo, era il genetliaco ufficiale del Regno d’Italia. Solo per il 1865 i festeggiamenti sarebbero coincisi con il compleanno dantesco del 14 maggio[8]. Quella data comune si combinava quindi con una molteplicità di identità locali secondo la logica dell’ex pluribus unum che ben valorizzava in chiave nazionale la ricchezza nella diversità. Quando il decreto fu presentato non si faceva più a tempo a festeggiare i grandi d’Italia, ma il fatto che venga prescelto il 14 maggio la dice lunga sul ruolo che si vuol riservare al compleanno del poeta. Comunque, anche sul piano nazionale la dicotomia proposta da Dionisotti, si ricomponeva in una cronologia fondativa che ne diveniva momento di sintesi.

Quindi, il progetto che vuol fare di Firenze l’Atene d’Italia, per usare l’espressione di Michele Amari, si compone di molte facce e di queste Dante fondatore della lingua e della cultura e quindi della identità italiana è magna pars. In più, quando decolla in sede fiorentina il progetto della statua, grazie alla costituzione della Società ad esso dedicata, l’Istituto di studi superiori è colpito dalla riforma Matteucci dell’istruzione superiore. Matteucci, che è subentrato a Pasquale Stanislao Mancini al ministero della Pubblica Istruzione nell’ambito del governo Rattazzi, l’anti Ricasoli, vara una riforma dell’istruzione superiore che entra in vigore nel luglio 1862 e nei cui contorni non entro, rinviando ad un mio studio in proposito[9]. Mi limito a dire che questa riforma rispondeva al disegno d’implementare le antiche sedi universitarie, riducendone il numero; quindi per la Toscana la sede pisana, e di valorizzare le scuole normali in funzione della formazione degli insegnanti. Per farla breve, delle tre sezioni nelle quali era articolato l’Istituto di studi superiori, quella medica, quella scientifica e quella umanistica quest’ultima era la più sacrificata, nonostante le veementi controdeduzioni messe in campo da Ridolfi, Lambruschini e Bufalini. Molte cattedre furono trasferite a Pisa, mentre a Firenze ne restavano ben poche.

Sempre a ragionare in termini localistici, non so quanto questo dipendesse o fosse condizionato dalle rivalità dell’Università di Pisa verso Firenze e il suo Istituto dal momento che Matteucci era professore a Pisa. A Firenze restava l’insegnamento di letteratura e poesia italiana, affidato a padre Giambattista Giuliani, cultore di Dante e oratore ufficiale all’inaugurazione della statua. Ma la ferita inferta al disegno di far di Firenze la culla della ricerca avanzata e del perfezionamento post lauream, anche sul versante umanistico e letterario, era profonda. La ripresa fu lenta. Intervennero i buoni uffici di Michele Amari, nuovo ministro della Pubblica Istruzione del governo Farini/ Minghetti, e soprattutto fu decisivo il ruolo di Pasquale Villari segretario generale del ministero passato il centenario. Ma per questo rinvio di nuovo al mio studio[10]. Comunque, il progetto Dante diveniva a maggior ragione cruciale nel disegno volto a restituire a Firenze centralità morale e culturale.

Poi, per tornare al punto iniziale, c’è la questione del mutamento, eventuale, che le feste dantesche assumono, sia nella progettazione, sia nella realizzazione nel momento in cui, in corso d’opera, Firenze diviene capitale politica del Regno. Se il mio assunto è corretto, e mi pare che lo sia, il percorso che porta all’assunzione del ruolo di capitale tramite la Convenzione di settembre non ha un impatto sulla progettazione delle feste, bensì sulla mobilitazione nazionale che ne consegue. L’intento e lo spirito sono sempre quelli, quindi di una città che vuol rigenerarsi come capitale della cultura. È un incidente di percorso non voluto e né ricercato che Firenze torni ad essere capitale politica. Questo senza dubbio moltiplica l’effetto della cassa di risonanza, ma non modifica il disegno originario.

Per verificare questo assunto, torniamo alla cronologia. La Commissione per la preparazione delle feste dantesche viene costituita con una struttura molto ristretta su delibera municipale del 14 novembre 1863 e con un mandato ben definito: “Considerando che i tempi nuovi vaticinati dal magno Poeta apparvero; e mentre all’italica gente porgono certa fidanza di prospero avvenire, ci stimolano viepiù a rendercene degni”. È una delibera che non lascia adito a diverse interpretazioni o letture della figura e dell’opera di Dante. La chiave è tutta politica. La Commissione, non a caso, è presieduta dal Gonfaloniere; ha come vice presidente Gino Capponi e tiene la sua prima seduta il 1° febbraio 1864[11]. Nella adunanza del 12 febbraio successivo la Commissione decide per la cooptazione di un numero cospicuo di nuovi membri. I criteri di cooptazione si rifanno alla rappresentanza delle categorie professionali e artistiche. La Commissione cresce vistosamente nei numeri, avvicinandosi a una trentina di membri, e diviene pletorica. Entrano nomi illustri della nobiltà fiorentina come Niccolò Antinori, Alfredo Serristori e Tommaso Corsini. Entrano Carlo Fenzi e Giuseppe Poggi; entra Atto Vannucci in quanto membro della Commissione per la statua di Dante. Da questo momento possiamo dire che i due processi, statua e festeggiamenti, si integrano[12]. Già questo allargamento è indicativo dell’intento di fare le cose in grande.

Poi i lavori procedono a rilento, finché nell’adunanza del 21 giugno 1864 si decide di affidare ad una sottocommissione formata da sette membri di preparare una bozza di programma da sottoporre alla Commissione plenaria. Alla sottocommissione vengono dati cinque mesi di tempo per elaborare la proposta[13]. Dunque, la data cruciale di partenza dei lavori della sottocommissione per l’elaborazione di un programma di festeggiamenti è il 21 giugno. Non solo. La sottocommissione ha il mandato di elaborare un programma di festeggiamenti che duri 8-10 giorni: qualcosa di inusitato e spropositato. Ma tutto questo avviene quando non c’è niente di definito né tanto meno di pubblico in merito alle trattative per sciogliere il nodo della presenza delle truppe francesi a Roma e il correlato trasferimento della capitale politica del Regno da Torino ad altra città.

Le trattative segrete di Nigra e Pepoli col governo francese, a Parigi, infatti, su mandato di Minghetti e del ministro degli Esteri Visconti Venosta, sono state riprese ai primi di giugno, ma solo nell’ultima decade di questo mese Napoleone III pone come conditio sine qua non dell’accordo il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, o a Napoli o ad altra città, sollevando una richiesta che esulava dagli accordi con Cavour dell’aprile 1861 e che serviva all’Imperatore per dimostrare all’opinione cattolica interna che l’Italia rinunciava a Roma. Ma nessuno sa della richiesta, che resta segretissima anche perché è politicamente una bomba[14]. Tanto bene viene tenuto il segreto che solo il 13 agosto il re verrà a sapere dallo stesso presidente del Consiglio che Torino avrebbe dovuto abbandonare il ruolo di capitale e dette in escandescenze tacciando il presidente del Consiglio di lesa maestà. E solo a fine agosto Minghetti manda il comune amico Silvio Spaventa da Ricasoli, a Brolio, per informare il barone degli accordi e della prospettiva che Firenze divenisse capitale[15]. In più, che fosse Firenze la prescelta e non Napoli o altra città matura solo nelle settimane successive e per motivazioni nelle quali non entro[16]. Poi la bomba scoppia con i moti torinesi del 21 e 22 settembre e la dura repressione che ne segue e che provocano la caduta del governo Minghetti. A questo punto tutto diviene noto a tutti.

Non disponiamo dei verbali della sottocommissione. Quindi non possiamo accertare se la vicenda nazionale legata alla Convenzione di settembre abbia un impatto specifico nei lavori di stesura del programma. Sappiamo che il programma viene presentato dalla sottocommissione alla plenaria a dicembre, rispettando con modesto sforamento il termine assegnato di cinque mesi; e che va in discussione nella seduta del 21 dicembre[17]. A questo punto, in questa seduta e nelle successive del 23 e del 26 gennaio 1865 si apre una lunga discussione, piuttosto veemente da quanto può trasparire dalla verbalizzazione, sul progetto presentato[18]. Le questioni sostanziali che dividono la Commissione sono due. Una riguarda la dimensione delle feste che appare subito spropositata. Sul loro ridimensionamento a tre giorni non pare che vi siano stati conflitti particolari nella plenaria, anche perché si comincia a porsi il problema del costo di queste feste in relazione alle risorse finanziarie che Giunta e Consiglio comunale sono disposti a stanziare. Il nodo del finanziamento si scioglie con delibera del 18 febbraio quando il consiglio comunale approva lo stanziamento di 350 mila lire a copertura dei costi[19], fatta esclusione per il costo della statua che si è autofinanziata ad opera della commissione ad esso dedicata.

È una somma tutt’altro che modesta. Se proviamo a tradurla in valori attuali dobbiamo ponderarla vicino ai due milioni di euro. Ma, in realtà, la capacità di acquisto all’epoca doveva essere assai superiore. Magari è possibile rinvenire l’impatto della prospettiva ormai prossima del trasferimento a Firenze della capitale politica nella cospicua dislocazione di fondi alla voce restauri e arredi urbani. Per il restauro di piazza Santa Croce era stato previsto uno stanziamento di 64 mila lire che lievitarono a più di 74 mila; per piazza della Signoria le 45 mila a previsione superarono le 55 mila lire a consuntivo. Quindi più di un terzo della somma disponibile fu destinato a ristrutturazione di due piazze cruciali del centro storico: piazze immagine per Firenze. Se poi aggiungiamo le 20 mila lire stanziate per la prima illuminazione elettrica vediamo che la somma stanziata per voci di spesa riconducibili ad investimenti di lunga durata a favore della città superano il 40% dello stanziamento.

Fra le altre voci di spesa, quella che a previsione era cospicua, ma a consuntivo fu fortemente ridimensionata era l’ospitalità. Era stato previsto uno stanziamento di 30 mila lire, proprio per garantire un grande flusso di rappresentanze, italiane e non, ma la spesa finale risulta quasi azzerata. Non perché i flussi siano stati modesti, ma probabilmente perché i vari municipi, province, prefetture, accademie ecc. si sono accollate la spesa dell’alloggio a Firenze dei propri rappresentanti. Questo sembrerebbe confermato dal fatto che a consuntivo risulta una voce di spesa di 611 lire a copertura dei costi di missione per la rappresentanza del Municipio di Firenze ai festeggiamenti di Ravenna. A conferma che la festa divenne una grande mobilitazione popolare coinvolgente la città sta la spesa elevatissima per servizi musicali prevista a 31 mila lire e lievitata a 36 mila lire. E sempre in quest’ottica è da ponderare la cospicua spesa per la festa popolare sotto il loggiato degli Uffizi che costò ben 21 mila lire. Per il resto, la voce di spesa più significativa fu quella per le medaglie con l’effige di Dante donate ai numerosi inviati, costate quasi 15 mila lire, e le 15 mila lire date come sussidi alle società artigiane fiorentine[20].

La seconda questione che spacca la Commissione riguarda la natura delle feste: ossia, se il sesto centenario dantesco dovesse essere uno stimolo al ripensamento del pensiero e dell’opera di Dante per letterati e persone di elevata cultura o se dovesse essere l’occasione per una gran festa popolare. Lo scontro in Commissione si consuma una prima volta nella seduta del 23 gennaio 1865, quando Poggi si schiera nettamente contro le feste popolari di corredo, chiedendo che la valutazione delle feste sia rinviata al Municipio. Passano poi alcune settimane prima che il consiglio comunale assuma una posizione chiara sulle feste. Questo induce Corsini a scrivere sul “Giornale del centenario di Dante Alighieri” il 10 febbraio 1865 della opportunità di una rapida risposta perché “la festa del centenario è della massima importanza non solo per il carattere fiorentino di riparazione che può avere, ma e molto più per il carattere nazionale che può prendere, e prende infatti ogni giorno di più”. Corsini intravede il rischio che “Firenze resti al di sotto della sua fama, ed oggi tanto più che non tutti parlano favorevolmente di lei”[21]. Da sottolineare questo richiamo alla riparazione che Firenze deve al poeta e anche delle avversioni maturate verso Firenze e la sua classe dirigente in occasione della designazione della nuova capitale e che proprio per questo si deve riscattare.

Il conflitto, poi, riemerge nella seduta del 27 febbraio, dopo che il consiglio comunale ha approvato lo stanziamento economico. L’origine dello scontroquesta volta è probabilmente connessa alla ripartizione del budget fra le varie voci di spesa.  Poggi ha il sostegno di Nobili e di Vannucci contro le feste estranee “al nome di Dante ed alla solennità del centenario”, mentre Panciatichi e Torrigiani, ove quest’ultimo è interprete dell’orientamento del sindaco, sono favorevoli a festeggiamenti popolari. La soluzione finale fu di compromesso, con inaugurazione della statua, esposizione e  nuove edizioni degli scritti e raccolta di opere letterarie di ispirazione dantesca, ma anche, direi soprattutto, con grande coinvolgimento della cittadinanza in cortei che avrebbero attraversato le strade del centro storico fino al lambire Porta al Prato; il tutto condito dal corredo di feste, lotterie, competizioni alle Cascine, conferimento di sussidi alle famiglie dei martiri per la patria e quant’altro[22]. Alla fine si trattò, soprattutto, di una grande festa popolare molto partecipata che fece scrivere a una testata fiorentina vicina alle posizioni dei democratici che tutto deponeva contro la politica di compromesso inseguita dai moderati che erano stati posti di fronte al dilemma fra “l’alleanza di Napoleone e quella del popolo”[23]. Il popolo rivendicando Venezia e Roma, aveva fatto sentire la sua voce.

La regia di tutte le manifestazioni ruotava attorno all’esaltazione di Dante profetico, che non solo facendo del volgare la lingua italiana aveva gettato le basi dell’identità nazionale, ma aveva anche preconizzato l’indipendenza della patria. Comunque, il fulcro delle manifestazioni fu, in esordio, il 14 maggio lo scoprimento della statua monumentale di Dante in Santa Croce alla presenza del re e con il discorso di Giambattista Giuliani, qualificato come espositore della Divina Commedia presso l’Istituto di Studi Superiori, tutto improntato al tema di Dante profeta dell’unità nazionale. Giuliani non trascurò di ricordare la profetizzata riunificazione di Cesare a Roma e Roma all’Italia, proponendo una chiave di lettura avversa alla lettura di Dante cattolico che i clericali tentavano di accreditare[24]. Sul tema di Roma e della auspicata caduta del potere temporale del papa tornò poi anche Atto Vannucci nel discorso conclusivo delle feste, il 16 maggio, attirandosi addosso la condanna dei cattolici[25]. Quindi la parabola delle feste fiorentine, nel momento dell’apertura della stagione di Firenze capitale, si apre e si chiude con la rivendicazione di Roma capitale, a conferma che anche per i fiorentini la capitale doveva essere provvisoria, sulla via di Roma.

In questo clima di esaltazione di Firenze capitale della cultura, ancor prima e ancor più che politica, grazie a Dante, si inquadra la richiesta a Ravenna delle ceneri di Dante. È noto che si tratta di una questione che risale alla notte dei tempi. Senza entrare nel merito dei vari passaggi nei quali le reliquie dantesche hanno corso il rischio di distruzione ovvero di essere trasferite a Firenze a partire dal XIV secolo, il momento cruciale nel quale i ravennati più temettero di dover cedere una reliquia divenuta ormai parte della cultura e della identità cittadina fu quando nel 1519 i fiorentini si avvalsero dell’autorità e del potere di un papa Medici, Leone X, per imporre ai ravennati il trasferimento delle spoglie a Firenze. Lo stesso Michelangelo intervenne a sostenere la supplica disposto a progettare adeguata sepoltura. Non a caso, Atto Vannucci si richiamò a questa disponibilità di Michelangelo nella formulazione della richiesta delle ceneri quando nell’aprile 1864 la avanzò in Commissione. Fu allora che i frati del convento di San Francesco che avevano seppellito il poeta in una cappella a latere della Chiesa, come testimonia Boccaccio, lo tolsero dall’urna marmorea nella quale si riteneva riposasse nascondendolo chissà dove. Quando l’urna fu aperta per l’ultima volta nel 1781 su disposizione del cardinale Luigi Valenti Gonzaga i resti di Dante non furono trovati[26].

Le cose restano in questo stato fino al centenario della nascita del 1865, in occasione del quale il Municipio pensò d’investire in ristrutturazioni e viabilità del quartiere dantesco con l’intento di rendere la tomba più facilmente accessibile e monumentale nel centro della città. Era la risposta di Ravenna all’ennesima richiesta dei fiorentini che matura in sede di Commissione per le feste del centenario. È curioso che il tema emerga subito, alla prima seduta d’insediamento della Commissione fiorentina il 1° febbraio[27]. In via immediata, la questione viene lasciata cadere finché la richiesta non è riproposta da Atto Vannucci, cooptato nella Commissione come membro della commissione per la statua, come dicevo, nella seduta del 14 aprile 1864. La richiestaè accolta assieme alla proposta di acquisto da parte del comune della casa di Dante, al momento in mano di privato, e al conferimento di “onori cittadini” a Pietro Sarego Allighieri, ultimo erede del poeta. Quest’ultimo, in effetti, fu gratificato di ogni onore durante le feste cittadine del 14, 15 e 16 maggio, mentre la questione dell’acquisto della casa andò per le lunghe negli anni successivi.

La richiesta da inoltrare a Ravenna fu, quindi, girata al Municipio dal segretario della commissione Corsini. Il consiglio comunale recepì la proposta della commissione in data 4 maggio e il sindaco Cambray Digny formulò la domanda al Comune di Ravenna in data 25 maggio 1864 con una formulazione apparentemente provocatoria dal momento che si dichiarava l’intento di “dargli degna sepoltura”, che suonava, volutamente o meno, come se quella ravennate non lo fosse. Il 28 maggio il sindaco di Ravenna Rasponi rispose che avrebbe sottoposto la richiesta al consiglio comunale, ma si cautelò subito riaffermando che quale che dovesse essere la risposta i sentimenti di amicizia con Firenze sarebbero stati immutati: come dire, è un “no” certo[28]. La risposta negativa giunse puntualmente il 27 luglio con la motivazione che, data la conquistata unità d’Italia, le reliquie dantesche a Ravenna non potevano più considerarsi in esilio e che le feste ravennati non sarebbero state possibili “abbandonando altrui quelle sacre ceneri”[29].

Non sappiamo quali reazioni immediate abbia provocato la risposta del Municipio di Ravenna a Firenze, anche se il fatto che le spoglie di Dante restassero a Ravenna era un gran cruccio per i fiorentini[30]. La risposta era comunque scontata, come lo era la richiesta che non poteva non essere fatta, pur conoscendone l’esito. Sta di fatto che l’anno dopo gli eventuali attriti dovevano essere superati, almeno nella forma, dal momento che il sindaco di Ravenna Rasponi e una delegazione del Municipio di Ravenna erano invitati a spese del comune di Firenze ai festeggiamenti con la motivazione, sottolineata da Rasponi nella risposta, “che l’ospitalità offerta ai Rappresentanti della città di Ravenna fosse ricordo di quella che il divino poeta s’ebbe dagli avi nostri negli ultimi giorni della sua travagliata vita”[31].

Ma il vero colpo di scena inaspettato e fortuito interviene il 27 maggio. Nel corso dei lavori di demolizione della cappella del Braccioforte, nel divellere un soprammattone appare una cassa dalla quale cadono un asse e alcune ossa. Ad un primo esame risulta che sul fondo della cassa sia scritto “Dantis ossa. Denuper revisa die 3 Junij 1677”, ossia “ossa di Dante di nuovo riconosciute, 3 giugno 1677”. Viene immediatamente informato il ministro della Pubblica Istruzione Natoli della scoperta e il 7 giugno viene aperta l’urna marmorea per verificare quanto quello che era d’altra parte noto, ossia che l’urna era semivuota. Infatti, nell’urna viene trovato solo una falange. Viene immediatamente costituita una commissione governativa comprendente naturalmente il sindaco di Ravenna, ma anche un docente di anatomia umana, il prof. Giovanni Puglioli, e un perito calligrafo che confrontando la scritta con la calligrafia di padre Santi potesse confermare che si trattava appunto del padre cavaliere del convento vissuto a cavallo fra la prima e la seconda metà del XVII secolo.

La scoperta confermò quanto tramandato per tradizione orale. Ossia che nell’urna marmorea le ossa di Dante non c’erano più dai tempi del trafugamento operato nella prima metà del XVI secolo; che il trafugamento era stato operato dai frati del convento che, si suppone, sapessero, almeno i vertici, per tradizione orale, dove realmente erano le ossa di Dante. Anche perché padre Santi non ricopriva un ruolo apicale e quindi doveva avere operato con l’avallo dei suoi superiori. La perizia anatomica confermò che si trattava di ossa di uomo di altezza fra i 165 e i 167 centimetri con il cranio allungato[32].

Il ritrovamento permise a Ravenna di celebrare i natali di Dante in pompa magna e non più in tono minore rispetto a Firenze. Come a Firenze tutto il cerimoniale del primo giorno ruotò attorno allo scoprimento della statua in piazza Santa Croce alla presenza del re, a Ravenna l’esposizione delle ossa di Dante in un’urna di cristallo divenne un fatto di risonanza nazionale. La tre giorni dei festeggiamenti ravennati fu fissata per il 24, 25 e 26 giugno con partecipazione del ministro Natoli, mentre non risulta la presenza del sindaco di Firenze Cambray Digny, anche se c’era una delegazione del Municipio. Il 24, di fronte alle ossa di Dante il sindaco Rasponi pronunciò un discorso in linea con la chiave dei festeggiamenti nazionali, ossia con Dante assurto a padre della patria, anche se cercò di rappresentare il suo pensiero con maggiore spirito di aderenza storica, riconducendo la supposta visione dantesca dell’unità nazionale come consequenziale all’unità dell’impero romano. Dante, disse Rasponi, “raffigurò e presentì nell’unità del romano imperio quell’unità d’Italia che fu il sospiro delle più nobili menti e che compiuta oggi avventurosamente per virtù di popolo e di re ristora la patria nostra dalle antiche ingiurie dell’antica discordia e della tirannide straniera”[33]. Poi la cerimonia proseguì in Municipio con il discorso di Giosuè Carducci. Il gran finale intervenne il 26 quando le ossa di Dante furono nuovamente riposte nell’urna di marmo e richiuse.

Di certo il ritrovamento delle ossa del poeta permise a Ravenna di sviluppare attorno al tema delle reliquie una tre giorni di festeggiamenti di risonanza nazionale. Possiamo dire che a quaranta giorni dalle feste fiorentine, Ravenna si riprese la scena. In tutto ciò ci fu dell’artificio o tutto fu casuale? Due sono le questioni aperte sulle quali possiamo sviluppare qualche ipotesi, ma non di più. La prima riguarda l’autenticità delle reliquie. La seconda riguarda i tempi del ritrovamento. Al primo quesito mi sentirei di rispondere in modo affermativo. I frati di San Francesco tenevano particolarmente care quelle reliquie e le tutelarono nei secoli, anche dopo la vicenda che abbiamo narrato, in particolare durante l’occupazione tedesca del 1944. È quindi ragionevole pensare che non siano posticce. Direi di più, è plausibile e probabile.

La seconda risposta è più ardua. Probabilmente il ritrovamento dell’urna di legno fu casuale, ma la tempistica induce qualche sospetto. Tutto avviene poco dopo la conclusione delle feste fiorentine, quando il conflitto sul conferimento a Firenze delle reliquie non lascia temere ritorni di fiamma. Il superiore dei frati di San Francesco, magari per tradizione orale, doveva sapere dove erano realmente conservate le ossa. La tempistica e la natura dei lavori di restauro della cappella potevano o dovevano suggerirgli quando e se l’urna di legno sarebbe stata ritrovata. Non sappiamo se i frati hanno avuto un ruolo nel ritardare o accelerare i lavori in funzione della “scoperta casuale”. Ma è un dato di fatto che la tempistica fu perfetta, rispetto alle feste fiorentine. Fu tutto fortuito? Comunque, la tre giorni di Ravenna, quando le feste locali e nazionali dantesche erano da tempo concluse, fu celebrata con una tempistica perfetta e con le ossa di Dante esposte. Se è stata una rivincita sapientemente architettata è pienamente riuscita. Se invece quella scoperta di un ignaro muratore alle ore 10 del 27 maggio 1865 fu casuale vuol dire che il caso voleva proprio dare la seconda mano di rivincita a Ravenna nella storia di quella eterna querelle.

 

 

 

 

 

 

[1] Per la pubblicazione coeva che ricostruisce la vicenda si veda O. Raggi, Della statua di Dante Alighieri innalzata in Firenze il XIV maggio MDCCCLXV: storia curiosa e genuina, Zanichelli, Modena, 1865.

[2] Per il progetto originario della statua e per i vari progetti architettonici e di restauro maturati e abbandonati a Firenze si veda la sintesi proposta da Fulvio Conti, L’inaugurazione simbolica di Firenze capitale: il monumento a Dante in piazza Santa Croce in 1865. Questioni nazionali e questioni locali nell’anno di Firenze capitale. Atti del convegno di studi, Firenze, 29-30 ottobre 2015, a cura di Sandro Rogari, Firenze, Polistampa, 2016, pp. 78-79.

[3] “Giornale del centenario di Dante Alighieri”, n. 23, 20 settembre 1864. A detta di Corsini la Commissione si sarebbe rivolta anche a non toscani a partire dal gennaio 1862 ottenendo seguito di illustri personaggi e municipi. Comunque tutto ciò va a conferma del disegno nazionale e non locale perseguito con le celebrazioni dantesche.

[4] Si veda per tutti Erminia Irace, Itale glorie, Il Mulino, Bologna, 2003.

[5] Sul tema si veda Firenze capitale europea della cultura e della ricerca scientifica. La vigilia del 1865. Atti del convegno di studi del 21-22 novembre 2013, a cura di Giustina Manica, Firenze, Polistampa, 2014, in particolare S. Rogari, Firenze da capitale del Granducato ad Atene d’Italia, pp.15-30. Si veda anche L’Istituto di studi superiori e la cultura umanistica a Firenze, a cura di Adele Dei, Pacini, Pisa, 2016, 2 t. Molto di recente è stato organizzato su promozione della Fondazione Biblioteche della Casa di Risparmio e dell’Accademia La Colombaria di concerto con il Dipartimento di studi politici e sociali un convegno dedicato a Il paradigma dell’Accademia. Cultura universitaria e cultura accademica a Firenze dall’unità alla grande guerra, tenuto a Firenze il 30-31 gennaio 2020. Gli atti del convegno sono in corso di stampa per l’editore Olschki a cura di Giustina Manica che ha promosso il convegno.

[6] Per questi aspetti rinvio alla mia relazione introduttiva al convegno Il paradigma dell’Accademia, cit., Il paradigma accademico come modello di istruzione superiore che è in via di pubblicazione negli Atti.

[7] “Rivista Storica Italiana”, LXXVIII (1966), pp. 544-583

[8] “Giornale del centenario di Dante Alighieri”, n. 44, 20 aprile 1865

[9] S. Rogari, Cultura e istruzione superiore a Firenze. Dall’Unità alla Grande Guerra, Centro Editoriale Toscano, Firenze, 1991, pp. 38 sgg.

[10] Ivi, pp. 45-47.

[11] Ascfi\Secentenario dantesco (1865), Affari comunitativi, Affari di comitati e di commissioni, Commissione fiorentina per il centenario di Dante, CA 00833 – 00834 (registri delle adunanze), adunanza del 1° febbraio 1864.

[12] Ivi, adunanza del 12 febbraio 1864.

[13] Ivi, adunanza del 21 giugno 1864.

[14] S. Rogari, Questione romana, questione nazionale e questione militare nel trasferimento della capitale a Firenze in La Convenzione di settembre. 15 settembre 1864. Alle origini di Firenze capitale. Atti del convegno di studi, 13-14 novembre 2014, Firenze, Polistampa, 2015, pp.22-23

[15] Ivi, pp.25-25

[16] È pertinente e accurata la descrizione della dinamica per cui fu abbandonata l’opzione di Napoli nella ricostruzione che ne fa Giustina Manica, La capitale mancata: Napoli fra auspici e avversioni in La Convenzione di settembre ecc., cit., pp. 170-171.

[17] Ascfi\Secentenario dantesco (1865), Affari comunitativi, Affari di comitati e di commissioni, Commissione fiorentina per il centenario di Dante, CA 00833 – 00834 (registri delle adunanze), cit.,  adunanza del 21 dicembre 1864. Nel verbale si legge di una presunta investitura della sottocommissione in  data 19 agosto. In realtà è un errore di verbalizzazione perché in tale data si riunisce la plenaria per vagliare la proposta di una lotteria girata dalla sottocommissione alla plenaria.

[18] Ascfi\Secentenario dantesco (1865), Affari comunitativi, Affari di comitati e di commissioni, Commissione fiorentina per il centenario di Dante, CA 00833 – 00834 (registri delle adunanze),  cit., Le adunanze dedicate alla discussione del programma furono quelle del 21 dicembre 1864; del 23 e 26 gennaio; dell’8 del 21 e del 27 febbraio  1865 poi ancora in data non precisata di marzo e il 22 aprile per la stesura finale del programma. Ma le sedute cruciali furono quelle di gennaio. Poi il programma approvato fu inviato per il caglio al Consiglio comunale.

[19] “Giornale del centenario di Dante Alighieri” n. 38, 20 febbraio 1865. Il compito di ripartire la somma fra le varie voci di spesa fu affidato a quattro sottocommissioni dalla Commissione plenaria. Alla Commissione lo stanziamento fu comunicato dal sindaco Cambrai Digny nella riunione del 21 febbraio. Cfr. Ascfi\Secentenario dantesco (1865), Affari comunitativi, Affari di comitati e di commissioni, Commissione fiorentina per il centenario di Dante, CA 00833 – 00834 (registri delle adunanze),  cit.,

[20] Per i numerosi fogli di preventivo e di consuntivo di spesa per le feste dantesche si veda Ascfi\Secentenario dantesco (1865)\ASCFi, Comunità di Firenze, Affari comunitativi, Affari sfogati. Buste speciali, Cerimonie, festeggiamenti ed esposizioni, CA 1362 (Filza IX).

[21] “Giornale del centenario di Dante Alighieri”, n. 37, 10 febbraio 1865.

[22] Ascfi\Secentenario dantesco (1865), Affari comunitativi, Affari di comitati e di commissioni, Commissione fiorentina per il centenario di Dante, CA 00833 – 00834 (registri delle adunanze), cit..

[23] “Lo Zenzero” Giornale politico popolare 16 maggio 1865.

[24] Discorso pronunciato il 14 maggio 1865 per lo scoprimento della statua, Le Monnier, Firenze, 1865. Contestualmente fu pubblicato un libello d’ispirazione clericale intitolato Guida allo studio di Dante proposta alla Gioventù italiana, Tipografia Tofani Firenze 1865 fortemente critico dell’impostazione che era stato dato al centenario dantesco per avere fatto di Dante l’eroe dell’unità nazionale.

[25] Guida allo studio di Dante ecc., cit.. Gli autori anonimi del libello ribadirono che “ripetere il nome di Dante è proclamare glora cattolica e italiana”.

[26] Archivio Biblioteca Classense\Centenaria e scoperta delle ossa di Dante in Ravenna, vol. IV. Relazione dell’ingegnere capo del comune di Ravenna, Ravenna Stabilimento Angeletti 1870, pp. 15-16

[27] Ascfi\Secentenario dantesco (1865), Affari comunitativi, Affari di comitati e di commissioni, Commissione fiorentina per il centenario di Dante, CA 00833 – 00834 (registri delle adunanze), cit…La discussione viene avviata nientemeno che sulla base della richiesta avanzata da una Società amici dell’istruzione di Brescia. In via immediata si respinge la richiesta rinviandola “allo sviluppo dell’opinione pubblica sull’argomento”.

[28] “Giornale del centenario di Dante Alighieri”, n. 12, 31 maggio 1864.

[29] “Giornale del centenario di Dante Alighieri”, n. 19, 10 agosto 1864. Si veda anche Archivio Biblioteca Classense\Centenaria e scoperta delle ossa di Dante in Ravenna, vol. IV.

[30] Il 17 settembre 1880 la signora Adele Capei fece dono al comune di Firenze di un’urna d’argento contenente polveri che a suo dire erano state  raccolte da Luigi Paganucci e Enrico Pazzi, lo scultore della statua di piazza Santa Croce, nel sepolcro di Dante. Cfr ASCFi, Comunità di Firenze, Affari comunitativi, affari sfogati, buste speciali, cerimoniale.

[31] Ivi, n. 45, 30 aprile 1865

 

[32] Per tutto questo si veda Archivio Biblioteca Classense\Centenaria e scoperta delle ossa di Dante in Ravenna, vol. IV ove viene raccolta un’ampia documentazione e la relazione dettagliata che l’ingegnere capo del comune di Ravenna Romolo Conti stese su tutto il processo di ritrovamento e identificazione delle ossa e pubblicò nel 1870.

[33] Ivi, p. XXXVII.

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