25 marzo 1957. L’idea d’Europa prende forma

Scriveva Carlo Curcio, eminente storico della politica: “se le idee sono creazioni umane, anche e soprattutto questa d’Europa è una creazione degli uomini. La sua verità sta nella storia. La sua storia è la storia degli uomini che l’hanno pensata”. A cominciare da Erodoto, e dai Greci, che sapranno associare all’idea d’Europa l’idea della libertà.

Tra i molti testimoni citiamo Machiavelli, che confronta le istituzioni politiche europee, cioè democrazie e monarchie, con quelle risultanti in luoghi diversi, ove imperversa il despotismo; Mazzini, che propugna la fratellanza della Giovine Europa, destinata ad espandersi dalla Svizzera, puntando sulle energie nuove capaci d’organizzare l’Europa dei popoli, indipendenti ma associati da uno scopo comune; Nietsche, che definisce l’Europa “penisola dell’Asia”, denunciando i difetti delle istituzioni occidentali, per poter salvare e rinnovare i connotati di quanti potevano definirsi “buoni europei”; Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, che nel confino di Ventotene concepiscono il Manifesto per un’Europa libera e unita.

Per ognuno di questi autori è possibile avanzare ipotesi, fare riserve, operare confronti, sistemare la loro figura in opportuni contesti. Oggi però corre l’obbligo di pensare in modo positivo, e, celebrandosi i Trattati di Roma, ricordare i tre ‘padri fondatori’ dell’Unità europea, Konrad Adenauer, Alcide de Gasperi, Albert Schuman, il cui pensiero e la cui attività sollecitarono i rappresentanti dell’Italia, della Francia, della Germania, del Belgio e dei Paesi Bassi a firmarne l’auspicato coronamento pratico. L’accordo acquista tanto più significato quanto più vengono approfondite le vicende dei rapporti tra gli Stati avvenute nei secoli: guerre, aggressioni e vendette, prevaricazioni, paci imposte dai vincitori. Si dovevano inventare istituzioni capaci di ricostruire quanto era stato distrutto da assurdi nazionalismi, e di allargare quell’angusto sentimento di patria fino a farlo coincidere con i confini che la storia aveva disegnato per il Vecchio Continente.

Necessario, dunque, suscitare una ‘coscienza europea’ che dovrebbe essere il viatico dell’‘integrazione europea’. Non è difficile vedere la grande spinta in questo senso operata da progetti che favoriscono la mobilità degli studenti, in primo luogo universitari. I programmi si riassumono sotto il nome d’Erasmo, scelto non per una sua peculiare posizione ‘europeista’comunque intesa, ma in qualità mnemonica, d’emblema di quella cultura umanistica che ha avuto certamente una funzione unificante in tutta la civiltà occidentale.

Gli storici da tempo si sono dedicati a cercare ed evidenziare radici comuni, con opere moltiplicatesi dopo il fatidico 1957. In particolare, la tendenza ha preso piede nei manuali di storia del diritto per la relativa facilità di trovare una base nello ius commune, ovvero nel diritto derivante dall’antico di Roma, raccolto da Giustiniano nel Corpus iuris, insegnato negli Studia (Università) d’Europa; la vigenza dalle legislazioni di tipo francese dall’inizio dell’Ottocento ha potuto solo confermare l’insostituibilità di istituti privatistici e pubblicistici elaborati grazie all’interpretazione distesa nell’arco dei secoli, dovuta a innumerevoli trattazioni di giuristi e decisioni di corti di giustizia. Questo il polmone, ovvero l’hardware, in cui immettere sempre aria fresca, ovvero il software. Come si può (e si deve) procedere?

Quando, dopo la dissoluzione dell’Antico regime, Humboldt mise mano alla fondazione d’un nuovo tipo d’Università per rimodernare quella di Berlino, indirizzando le sue profonde riflessioni preparatorie sulla cultura, nella categoria degli “istituti scientifici superiori”, necessariamente dovette includere non solo le Università, ma anche le Accademie di scienze, arti e lettere. E nella formazione dei soggetti ‘cittadini’ riconobbe ai due enti funzioni complementari, in particolare sottolineando la caratteristica ‘societaria’ dell’Accademia: “realmente destinata a sottoporre il lavoro di ciascuno al giudizio di tutti”. Tradotto in termini odierni, il compito ricordato è quello del controllo dei risultati e della loro divulgazione (non banalizzante): si potrebbe auspicare che gli studenti universitari, reduci dall’Erasmus, fossero invitati a presentare e discutere l’esperienza ‘europeista’ da loro compiuta in un’assemblea pubblica d’un’importante Accademia tra quelle considerate d’interesse nazionale. Per sostenere e diffondere ancora e sempre l’“idea d’Europa”.

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